L'Euro, la moneta unica dell'Ue, valuta ufficiale di 19 dei 27 Paesi membri (all'inizio furono solamente 12), il 1° gennaio 2022 ha celebrato i 20 anni dell'entrata in circolazione: in questa occasione il team di ricerca Coface esamina gli effetti che ha prodotto l'introduzione dell'Euro in termini macroeconomici e se le aspettative, che erano elevate soprattutto in vista della conseguente eliminazione del rischio di cambio e dei costi di transazione, sono state realizzate.
I 20 anni dell'Euro
Per celebrare il 20° anniversario dell'introduzione dell'Euro nei portafogli europei, il team di ricerca di Coface, si è posta quale obiettivo quello di esaminare gli effetti che questo cambiamento ha prodotto in termini macroeconomici. Quando l'Euro è stato introdotto le aspettative erano elevate soprattutto in vista della conseguente eliminazione del rischio di cambio e dei costi di transazione.
Le prove però che l'Euro abbia effettivamente stimolato gli scambi sono poche; Coface stima infatti che gli scambi intra-area erano già consistenti al momento del lancio di quest'ultimo (il 50% degli scambi totali nella zona Euro a 12 membri) e da allora questa percentuale ha subito una leggera diminuzione, sebbene non eccessiva. Ciò è la causa di diversi fattori, in particolare dall'emergere della Cina nel commercio globale e all'ascesa della catena di approvvigionamento tedesco-centroeuropea.
Lo sviluppo dei tassi di interesse
Negli anni 90 i tassi di interesse nominali erano convergenti e gli spread erano molto ridotti al momento dell'entrata in circolazione dell'Euro. Dopo quasi un decennio di relativa stabilità, gli spread nei confronti della Germania sono tuttavia esplosi drasticamente quando la crisi finanziaria del 2008/2009 ha colpito i mercati e questi hanno ricominciato a differenziare il rischio di credito tra i Paesi europei, rendendosi conto del fatto che alcuni di essi potevano andare in default.
Gli spread rispetto al Bund sono quindi aumentati fino a quando il presidente della Banca Centrale europea si è impegnato a fare tutto ciò che era necessario al fine di preservare l'Euro. Tuttavia è importante sottolineare il fatto che molti Paesi godono ad oggi di condizioni di finanziamento più favorevoli che se non fossero all'interno dell'Unione economica e monetaria (UEM): i tassi di inflazione nella "zona euro" sono stati infatti i più bassi nell'ultimo decennio in un ambiente de(in)flazionistico globale.
Il grafico riportato da Coface identifica i tassi di interesse in percentuale dei Government Bonds dei rispettivi Paesi dal 1994 al 2021: tassi che in tutti i Paesi hanno assistito dopo un aumento nei primi anni ad una lineare diminuzione, un decennio di relativa stabilità, per poi toccare alcuni dei picchi più elevati negli anni 2010/2013 dopo la crisi del debito sovrano (la Grecia ha registrato il picco più alto di tassi di interesse dei government bonds aggirandosi attorno al 30%, seguita da Portogallo e Irlanda). Nel 2020 circa il 70% delle emissioni di titoli di debito è stato denominato in dollari USA, rispetto al 20% in Euro (livello paragonabile al 1999).
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Uno sguardo ai prossimi anni
Secondo lo studio effettuato dal team di ricerca di Coface il record dei primi due decenni di unione monetaria è tutt'altro che perfetto, anche se, data la sua incompletezza e le numerose critiche, l'UEM è comunque riuscita a battere le previsioni più pessimistiche e scettiche sul progetto iniziale.
Nonostante i numerosi tentativi di rafforzamento effettuati negli ultimi anni e i grandi risultati raggiunti, in particolare con l'istituzione di un meccanismo comune di sostegno per i paesi in difficoltà finanziaria e un sistema di vigilanza comune per le banche europee, "c'è ancora molto da fare in termini di governance al fine di rendere questo sindacato più efficiente e più resistente a shock esterni e/o idiosincratici" sottolinea Coface. In particolare, il federalismo fiscale (l'Unione Fiscale) resta uno degli obiettivi principali da perseguire, anche se la sua realizzazione nel breve termine sembra irraggiungibile.
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Fonte: Coface
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